8ª FESTA TRANSFRONTALIERA
LO PAN NER – I PANI DELLE ALPI
14 e 15 OTTOBRE 2023

 

COMUNE DI LOZZOLO

 

 

Il forno Comunale di “fondo Villa”

Il forno di “fondo Villa” fu in funzione fino alla metà del XX secolo ed è sempre stato il fulcro della vita quotidiana di una comunità e oggetto di lotta tra la popolazione ed i Signori del Castello.
Le prime notizie di un forno sono del 1463 ed era sito difronte alla Chiesa Parrocchiale di San Giorgio. Però la popolazione lozzolese, stanca della odiata tassa del “fornatico”, decise di costruire un secondo forno nel 1717, andando contro i Signori del Castello che fecero di tutto per condannare la comunità e ripristinare i loro diritti e privilegi.
1734 i Conti del Castello dovettero rassegnarsi alla volontà popolare e gli cedettero definitivamente il forno.
Una volta che il forno fu ceduto alla comunità, il Comune doveva affidarlo a qualcuno per la gestione, il “furnè”. Per fare ciò, a quei tempi, si procedeva all’incanto del servizio al maggior offerente.
Un soldato chiamava a raccolta la popolazione nella Piazza con un rullo di tamburo. Dopodiché il podestà assistito da testimoni e da un notaio chiedeva chi volesse fare un’offerta la quale doveva essere superiore a quelle precedenti. Avrebbe vinto chi avesse fatto l’offerta più alta quando una candela appositamente accesa all’inizio si sarebbe consumata.
Nel forno di cuoceva “ il micun ‘d pan metà” (il pan metà). La massaia di casa, alla sera, preparava un impasto in casa sul piano di un apposito mobile di legno detto, “arca pastoira” o “madia”, mescolando farina di mais “di meliga” e segale con acqua salata e per la lievitazione, aggiungeva una piccola quantità di pasta detta “chesent”. Questo proveniva da un’altra famiglia che lo aveva conservato dal suo precedente impasto, quindi un po’ del nuovo impasto veniva a sua volta conservato e concesso ad un’ulteriore famiglia e così via.
Amalgamato l’impasto lo riponeva, coperto da un telo, all’interno della madia stessa per farlo lievitare.
Il mattino seguente il “furnè”, che gestiva il forno comune, si recava a ritirare l’impasto per portarlo alla cottura. Questo veniva posto su un vaglio o “val” coperto con un asciugamano di tela e posto sulla gerla (scivro) per il trasporto. Il “furnè” frazionava quindi l’impasto secondo la pezzatura richiesta e lo infornava nel forno preriscaldato a legna per la cottura. I pani detti “micun” erano grossi e tondi con un diametro di circa 20 centimetri, mentre gli altri di 6-8 cm, piccoli e più corti erano detti “brusaro” o “brusaroi”.
Era anche d’uso preparare un particolare pane mescolando uva passita all’impasto. Era una golosità per la merenda dei bambini o un dolce per alcune occasioni.