I cereali minori in Valle Camonica – la Segale

Il territorio della Valle Camonica non è adatto alla coltivazione del Frumento, il cereale per eccellenza.

Soprattutto nella parte alta della valle, si è sviluppata la coltivazione di quei cereali cosiddetti minori che meglio si adattavano al territorio quali segale, orzo e grano saraceno.
I cereali minori sono specie antiche che rappresentano una parte importante nella storia dell’alimentazione umana. La coltivazione della segale è legata strettamente alle condizioni pedoclimatiche, infatti questo cereale si adatta a terreni poveri, sabbiosi e acidi; tollera il freddo e la siccità e per queste ragioni rappresenta il cereale maggiormente coltivato in montagna.

Trattandosi di un cereale rustico che tollera forti stress ambientali, la segale veniva coltivata fino a 1000 – 1200 metri di quota su terreni dalle caratteristiche difficili: pendenze elevate e scarsa fertilità del terreno.

Inoltre il ciclo biologico di questo cereale consentiva di sfruttare proprio le ostili peculiarità del territorio montano, offrendo un frutto dalle pregevoli caratteristiche qualitative e nutrizionali.

Notizie sulla coltivazione della segale in alta Valle Camonica risalgono addirittura al medioevo e sappiamo che intorno al 1870 si coltivava una superficie a segale pari a 1489 ettari (26% delle terre arate) con una produzione di 321 q.li destinati esclusivamente al consumo famigliare.

Un’ulteriore importante fattore legato alla coltivazione della segale in Valle è rappresentato dall’utilizzo dell’intera pianta e non solamente del suo frutto.

Già in fase di coltivazione dopo la semina del mese di ottobre/novembre era uso far pascolare le pecore nel campo in gennaio/febbraio, quando il terreno era gelato. Le pecore mangiavano la pianta appena sviluppata e alla ripresa primaverile aumentava l’accestimento con produzione di numerose spighe da un’unica radice.

In primavera si rientrava nel campo così da mantenere il terreno pulito dalle erbe spontanee.

A luglio si procedeva con la mietitura e successivamente con la trebbiatura che, realizzata rigorosamente a mano, consentiva di scegliere i chicchi migliori, quelli che si staccavano per primi battendo i covoni su un’asse. Da questi chicchi si tratteneva una parte per la semina dell’anno successivo.

In seguito si batteva ancora la pianta con un bastone ottenendo così il distacco dei chicchi più piccoli; infine, grazie all’ultima battitura, si recuperavano gli ultimi frutti, usati per l’alimentazione animale.

Gli steli venivano impiegati come imbottiture dei sacconi per il letto (rudimentali materassi), oppure ancora per isolare le pareti (sistema anche oggi impiegato nella bioedilizia).

La paglia, veniva utilizzata come lettiera per le vacche che avevano appena partorito e per i vitellini, nonché come foraggio per il bestiame giovane.

La granella veniva pulita dalle impurità portandola sulle strette vie del paese e nel momento in cui il vento cominciava a soffiare tra gli stretti vicoli veniva lanciata in aria ottenendo così la separazione della parte più leggera dai chicchi.

La farina di segale veniva consumata principalmente come pane. La molitura del cereale avveniva in opifici locali: le rilevazioni delle autorità veneziane li quantificano in 49 nel 1573, 17 nel 1609 e 64 nel 1618, distinti in mulini «a rotha», ovvero a macina e mulini «a piganzolo», dotati invece di un pestello che batte in un mortaio ricavato da una pietra cava.

La segale compare spesso nei documenti dotali come bene di proprietà delle future mogli (vari esempi tra il Seicento e l’Ottocento); sempre come parte del corredo venivano lasciati attrezzi per la lavorazione e la cottura del pane in casa, quali la «mèza» e il «panaio».

La panificazione

Ogni famiglia coltivava la segale, provvedeva alla macinazione dei frutti presso un mulino e conservava la propria farina all’interno di cassoni di legno al buio e all’asciutto.

La panificazione avveniva in genere ogni due settimane così che il pane si conservasse bene evitando che diventasse troppo secco o che ammuffisse. Alla sera si procedeva setacciando poca farina all’interno di un contenitore chiamato panèra e successivamente si aggiungevano acqua calda con del sale sciolto all’interno e un panetto di pasta madre, cioè una parte dell’impasto conservato dalla volta precedente, dalla caratteristica acidità. Il primo impasto veniva fatto velocemente per evitare che si raffreddasse troppo, in seguito veniva coperto e conservato durante la notte in un luogo caldo, come poteva essere la stalla. Nel corso della notte il primo impasto aumentava notevolmente di volume e solo il mattino successivo si poteva procedere ad aggiungere altra farina e ad impastare nuovamente. Durante la lievitazione del secondo impasto si cominciava a preparare il forno.

La cottura del pane avveniva spesso in forni domestici privi di cappa, documentati fino alla prima metà dell’Ottocento (come risulta anche dai decreti dell’amministrazione del Regno Lombardo-Veneto che consentivano di mantenere forni in locali privi di camino). Per l’accensione del forno si utilizzava legna di “paghera” (cioè abete rosso), ontano, betulla e frassino, a seconda della disponibilità del proprio territorio e delle tradizioni del proprio paese. Dopo aver scaldato il forno a fiamma viva, si procedeva a spargere la brace sul piano dove poi sarebbe stato cotto il pane. Successivamente il piano veniva pulito con uno straccio bagnato e nel frattempo si cominciavano a preparare le forme del pane, da far riposare anch’esse prima della cottura. Solo a questo punto si poteva infornare, tenendo controllata la cottura e la temperatura del forno.

Una volta cotto, il pane veniva tolto e appoggiato a graticci oppure infilato su lunghe pertiche per la conservazione. Il pane veniva poi conservato in casa per circa due settimane, nell’invòlt, «ampio magazzino dai muri massicci a volta, sprofondato a metà col suolo, che serve per la conservazione degli alimenti» su una graticciata appositamente dedicata o sulle pertiche, da cui deriva anche la forma a ciambella del pane di segale prodotto in alta valle.

A seconda del paese, le tradizioni legate alla panificazione erano differenti. In alcuni, ad esempio, era d’uso mettere del sale sul panetto di pasta madre e coprirlo bene con la farina per la panificazione successiva.

In altri paesi, invece, una famiglia era custode del panetto di pasta madre e chi voleva fare il pane si recava a prenderne un pezzetto, impastava e restituiva sempre alla stessa famiglia due panetti dell’impasto per la panificazione delle altre famiglie nei giorni successivi.

Alcune famiglie disponevano del proprio forno privato mentre altre usufruivano dei forni altrui. Ovviamente portavano con sè la propria legna e il proprio impasto e in cambio venivano offerte alla famiglia proprietaria del forno un paio di pagnotte.

In alcuni paesi, esistevano delle tradizioni religiose che avevano come protagonista il pane di segale. Nel comune di Berzo Demo, ad esempio, si svolgeva la “Benedisù del Toc” (benedizione del pezzo): ogni famiglia portava un pezzo di pane di segale sul sagrato della chiesa, dove tutto il pane veniva raccolto e distribuito ai forestieri. Prima della distribuzione il pane raccolto veniva benedetto dalla statua della Madonna che poi veniva portata in processione lungo le vie del paese. Si tramanda che il pane della Madonna fosse nato a seguito di un voto fatto dalla comunità a Maria per averla protetta da una serie di massi staccatisi da loc. Poggio della Croce.

In alcuni paesi esisteva anche l’usanza di distribuire pane per le feste, in particolare per Natale. Questa tradizione è documentata per vari paesi dell’alta Valle Camonica: almeno in parte si trattava di pane di segale.

Oggi…

Dagli anni 50 ai giorni nostri, la presenza sul territorio della Valle Camonica di coltivazioni di segale e in generale dei cereali ha subito un notevole calo, con conseguente abbandono dei terreni prima coltivati.

La Comunità Montana ha sviluppato negli anni dei progetti per la ripresa della coltivazione dei cereali minori in tutta la valle. Da qualche anno il Gruppo Colture Rupestri del Bio Distretto di Valle Camonica sta raccogliendo intorno a sé soprattutto giovani che coltivano appezzamenti di terreno in vari paesi e località della Valle Camonica, recuperando anche sementi dimenticate nei cassoni sui solai delle vecchie case; si spera così di mantenere vive le tradizioni legate alla coltivazione della segale e degli altri cereali in uso anticamente.